“Che te ne fai di un amore così?”

Last Updated: 28 Novembre 2024By

“Amor che nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Confessa Francesca da Rimini nell’inferno di Dante e perché sia lì, tra le colombe e gli stornelli lussuriosi, è ben noto a tutti. Nella cronaca odierna i giornali parlerebbero di “delitto d’onore”, scriverebbero della più famosa relazione illegittima come di un’altra “tragedia della gelosia”, l’ennesimo caso di omicidio e femminicidio. Ma alle menti meno superficiali non sfuggirà l’importante dettaglio di come Paolo e Francesca scoprirono di amarsi. Galeotto fu un altro libro, più antico, narrante un amore tanto simile al loro. È la storia di Lancillotto e Ginevra il cui epilogo, mai letto dai due innamorati, accomuna le protagoniste tragicamente: un marito tradito che uccide una moglie incauta. Così, nel racconto di Dante la tragedia di Paolo e Francesca non è un fatto eccezionale, irripetibile, strano; è il riflesso di storie più antiche, sciagurate e identiche per secoli; è il risultato di una cultura maledetta. La violenza sulla donna è il frutto velenoso di una malapianta; un atto criminale che consegue un modo di ragionare terribile ma preciso, giunto a noi dilagante e adesso ancora capillare.

Nel suo “Comizi d’amore” Pier Paolo Pasolini girovagava per l’Italia a chiedere alle persone comuni come concepissero l’amore, le questioni, attuali o meno, che lo riguardano. Quando domandò ad un uomo cosa pensasse del divorzio, costui impugnò un coltello immaginario e con gesti eloquenti lasciò intendere la sua opinione. Era il 1964, non poi così lontano nel tempo, e a rendere davvero agghiacciante la scena fu la folla che circondava l’intervistato, uomini e donne che a quelle parole risero, applaudirono. Un uomo può uccidere la femmina che lo umilia, anzi deve; d’altronde “lo stato d’ira determinato dall’offesa dell’onor proprio” ha giustificato gli assassini delle donne fino all’81, quando fu abolito quel balordo articolo 587. Ma la società è più lenta della legge e a preoccupare oggi non sono soltanto gli strascichi di logiche mostruose come quella di possesso e proprietà, di paura e obbedienza, di riscatto col sangue, ma un’eredità ancor più disturbante che aggrava i narcisismi delle generazioni attuali.

Ma allora, cosa pensiamo dell’amore? S’interrogassero tutti e in particolar modo gli uomini. Un amante non è un manipolatore perverso che monitorizza ossessivamente l’origine della propria fragile autostima attraverso il nevrotico alternarsi di idealizzazione e svalutazione, o, nel caso sfugga inaccettabilmente al controllo, l’eliminazione; che la compagna fiorisca, e fioriscano i suoi pensieri e la sua anima. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Ci chiacchierano su, intorno al tavolo di una cucina, bevendo gin, i personaggi del noto racconto dell’americano Carver: Terri ha detto che l’uomo con cui viveva prima di mettersi con Mel l’amava talmente tanto che aveva tentato di ucciderla; una sera la riempì di botte, la trascinò per tutto il soggiorno per le caviglie continuando a ripetere “ti amo, ti amo…”; la testa le sbatteva dappertutto. Ora Terri ti guarda stancamente negli occhi ma finalmente ti dice: “che te ne fai di un amore così?”.

Gabriele Cardinale, novembre 2024 – @Mozzafiato

P.s. Ho voluto inserire queste due clip del film “Dante” del grande Pupi Avati, perché solo con l’abitudine a cogliere codesta bellezza di relazione amorosa “nel nostro cuore potremo di nuovo ascoltare fremiti della purezza”  

Baldassarre Aufiero

 

 

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