LA LEZIONE DEI COMPAGNI VERDI CADUTI
A cosa è servito il nubifragio di Milano?
Innanzitutto a capire che le grandi città sono, al pari e forse più dei piccoli centri e delle zone rurali, estremamente vulnerabili, solo che di solito sono meno colpite dai flagelli della natura. Sono bastati 20 minuti scarsi di furia degli elementi per mettere in crisi una metropoli.
In una grande città le relazioni sono molto fitte e tutto è fortemente interconnesso. Se per qualche motivo si pregiudica la circolazione pubblica e privata, tutto si ferma o si compromette.
Fin qui cose pressoché ovvie.
Meno ovvio è aver constatato che Milano è una città verde, a dispetto della vulgata che la vuole grigia.
La quasi totalità dei danni, immediati e successivi, è stata determinata non dagli accumuli di acqua, rapidamente riassorbitisi, ma dalle centinaia, anzi migliaia di alberi caduti o danneggiati; considerando che comunque sono una minima parte rispetto a quelli rimasti intatti, forse nessuno prima avrebbe pensato che se ne contassero così tanti in città.
Beh, gli alberi…poco male, direbbe qualcuno poco sensibile e che vivesse altrove. Gli alberi che cadono trascinano con sé cavi elettrici, pali dell’illuminazione, semafori, per non dire delle persone e cose (e a volte anche della case) spesso più fragili di loro sulle quali si abbattono.
Mah, gli alberi…quanto pesa un albero?! A vederli vivi e vegeti in piedi non si direbbe, ma a vederli morti sdraiati e a provare anche solo a spostarne uno, anche piccolo, o anche solo un suo ritaglio, ci si rende subito conto.
Già, gli alberi…saranno caduti quelli piccoli o malati, o qualche ramo pericolante si potrebbe pensare. Invece no, sono stati sradicati anche tronchi secolari o quasi di più di un metro di diametro che hanno avuto la sfortuna, o la caparbietà, di volersi opporre alla sferza del vento. Qualche botanico avrà sicuramente notato una moria principalmente di una certa specie di non lontana piantumazione, che se non erro è a crescita molto rapida, quindi poco solida e spesso pure molto irregolare. Ma non sono stati risparmiati fusti di altre specie; e comunque lasciamo la questione agli agronomi.
Morto (o abbattuto) un albero, se ne pianta un altro, dirà qualche sprovveduto (e sicuramente sostiene più di un amministratore pubblico). Peccato che quello novello impiegherà anni o decenni per raggiungere l’imponenza e la maestà di quello perso; se mai vi riuscirà, visto che gli stessi amministratori da qualche tempo ormai fanno a gara a potarli (anzi, decimarli) appena crescono (cfr. il classico Compagni Verdi). Per non dir dell’estetica, pare la stessa cosa vedere una quercia di cento primavere o un virgulto di due/tre anni? Alcuni scorci sono violentemente deturpati dal venir meno delle folte chiome che li riempivano.
Ancor meno ovvio è dunque aver capito l’importanza dei grandi alberi in vita, al di là delle banali e scontate considerazioni di stampo ambientalista e salutista.
Poi ci sono gli effetti collaterali, come ad esempio aver notato un ulteriore eccesso di zelo dei suddetti amministratori, i quali si sono affrettati (dopo l’ultimo nubifragio, l’anno scorso) a vietare l’accesso alle aree verdi (per parecchie settimane, peraltro) come se un albero caduto potesse cadere due volte, o come se ciò non accadesse naturalmente tutti i giorni nei boschi che per fortuna (per ora, verrebbe da pensare vista l’aria che tira) nessuno si è mai sognato di chiudere.
La vita è rischiosa per definizione. Se si pretende di evitare anche il minimo rischio, si corre il rischio di incorrere in rischi ben maggiori. Come altre importanti recenti vicende gestite col medesimo approccio hanno ampiamente insegnato anche ai più scettici o superficiali.