Riporre nelle cappelliere
Quante volte l’abbiamo sentito dire? Il significato è chiarissimo.
“Riporre nelle apposite cappelliere…”
Che cosa? Il bagaglio più pesante. Quello che assomiglia ad un baule con il quale comunque ti fanno salire a bordo. Quello più piccolo, con “gli effetti personali” va invece riposto, con cura, “sotto il sedile di fronte a voi”.
No, non è un caffè dedicato agli assistenti di volo. Oppure sì, perché la loro pazienza e frustrazione sono proverbiali.
Perché poi vedi distintissimi gentiluomini, dall’aspetto almeno C-level di grandi imprese, giovani e meno giovani nobildonne, eleganti e fragili, infilare nelle summenzionate cappelliere ogni bene possibile, ovviamente il più delle volte in modo così scoordinato da terrorizzare anche il campione mondiale di tetris.
Perché?
Perché ci riteniamo superiori alle regole, quelle -bene dirlo- che non sono irragionevoli e disumane, cioè da combattere come dovere morale, ma quelle banali, volte a generare un minimo di giustizia sociale?
Tutti lo facciamo, alzo la mano per primo: che si tratti di code, di semafori, di rifiuti. Ci sentiamo superiori. La mia ragione è più forte. Il mio motivo lo è. Per cui gli altri si arrangiano.
Come fidarsi della classe dirigente del futuro se non sa neanche attraversare sulle strisce con il verde? Lo pensai vedendo un gregge di studenti liceali.
Come facciamo a superare questo senso di egoismo implicito, questa superiorità antropologica egoriferita?
Paolo Pugni, giugno 2022 – © Mozzafiato