L’economia triste

Last Updated: 18 Febbraio 2020By

NO COST, NO ECONOMY, NO HAPPINESS

Chi non vorrebbe avere tutti, o quasi, i beni e i servizi gratis, o quasi?

Ma la no cost economy è una trappola mortale. E la sua parente stretta, la low cost economy, una malattia molto grave.

Intanto i prezzi bassi sono spesso al contempo esito e causa di un processo di ‘selezione avversa’ che, complice l’informazione asimmetrica e le scelte distorte dei consumatori che provoca, porta a produrre con maggior profitto i beni di bassa o pessima qualità rispetto a quelli di pregio, fino ad escludere questi dal mercato. Come si è già avuto modo di dire, è una vera e propria teoria microeconomica ormai pienamente accettata e condivisa; ed empiricamente ben verificata di questi tempi non prosperi.

Qui però si vuole sottolineare un dettaglio ulteriore e, se possibile, ulteriormente perverso. La scelta dei prodotti a basso costo (fino all’estremo del no cost) può essere dettata più che da carenze (o pigrizie) informative sulla qualità, dalla carenza di reddito disponibile; quindi essere ancor più grave, poiché ‘obbligata’. E i redditi disponibili sono bassi o per scarsità dei redditi lordi o per eccesso dei prelievi forzosi e delle spese non evitabili (guarda caso quasi tutte per servizi necessari, o quasi, o addirittura di pubblica utilità che garantiscono ai giganti produttori enormi rendite pseudo monopolistiche).

Il no cost non sfugge alla regola, anzi, la estremizza. Si pensi al mondo del web dove quasi tutto è gratis (anzi,sembra: “nessun pasto è gratis” sul mercato) ma ha generato le imprese più grandi, più redditizie e di maggior valore dell’economia moderna; ed i consumatori, in media, più poveri, più controllati e più manovrati di sempre. Un’economia molto concentrata non è Economia: è rendita per pochi e sfruttamento per gli altri.

Sarebbe tempo che il consumatore capisse che per avere qualità (e libertà) i beni e servizi devono essere pagati, e pure non poco; e che l’attività economica dev’essere libera e diffusa. La libertà è da sempre la cosa più costosa che ci sia, in ogni ambito.

All’obiezione che oggi i redditi sono troppo scarni per permettere tale scelta, si risponde che anziché battersi ed adoperarsi per avere prezzi più bassi, ci si dovrebbe imporre per avere remunerazioni nette, in particolare del lavoro e delle piccole attività, più alte, agendo sulle tre componenti di cui sopra.

Per non parlare poi della maggior soddisfazione che danno il poter produrre in proprio o localmente e il poter spendere piuttosto che il dover economizzare su tutto: per i singoli come per gli Stati, l’economia del gigantismo e (quindi) della povertà senza libertà è inevitabilmente economia della tristezza. Un consapevole magnanimo, produttore o consumatore che sia, è sempre più felice di un forzato parsimonioso; a patto che gli sia consentito di esserlo.

La guerra dei prezzi al ribasso genera un’economia al ribasso, salvo che per pochissimi, fortunati o privilegiati (o spregiudicati) che siano. Cioè infelicità diffusa.

Il Conte, febbraio 2020 – © Mozzafiato

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