IL CIBO E’ NATURA, LA CUCINA ARTE
Nella storia evolutiva che ci ha portato ad oggi, l’Uomo ha attraversato varie fasi nutrizionali, tutte però accomunate da una stessa necessità: la ricerca del cibo.
Inizialmente il nostro antenato era erbivoro-fruttivoro, poi decise di conquistare le nicchie ecologiche disponibili ed iniziò a spostarsi, diventando anche carnivoro per necessità, quindi onnivoro (cacciatore-raccoglitore).
La svolta fondamentale è però racchiusa negli ultimi diecimila anni della sua storia, poiché l’ Uomo in quel periodo iniziò ad allevare animali, praticare l’agricoltura e poi a panificare.
Come per tutte le specie viventi, il cibo ha fatto la differenza nel successo evolutivo umano ed ha scandito i ritmi della vita; sino a qualche decennio addietro, nei Paesi Occidentali, e tuttora in quelli in via di sviluppo, tutta la giornata era impegnata nella raccolta e nella produzione del cibo, che era quindi considerato sacro e religiosamente rispettato. In tutte le Società umane, i momenti salienti della vita erano sottolineati con il cibo ed esso veniva usato in moltissimi riti religiosi, se ne rispettava la naturalità e lo si consumava appena modificato.
Le Società rurali di tutto il Mondo erano rappresentanti della cucina semplice, realizzata secondo criteri di stagionalità e con quello che il territorio offriva. Le classi più agiate mangiavano praticamente gli stessi cibi della plebe, magari in piatti di metallo piuttosto che in ciotole di coccio.
Nel Medioevo questa sorta di “equità sociale” del cibo resisteva, mentre dal Rinascimento in poi iniziava una sua differenziazione in funzione del ceto: le classi economicamente più agiate esprimevano con l’elaborazione degli alimenti, il loro modo di vivere più dispendioso e culturalmente più evoluto e slegato dai bisogni primari.
Con la cucina come specializzazione, si inizia ad elaborare le materie prime e si arriva al ‘600, secolo in cui emergono i primi cuochi “star” dell’Aristocrazia, e poi al ‘700, in cui anche l’Alta Borghesia si permette lussi mai visti prima. Il cibo da naturale risorsa nutrizionale dell’Uomo diventa arte, in quanto elaborazione di un bisogno primario divenuto ideologia, perché arricchito di valenze culturali complesse ed espressione di uno status sociale più elevato.
Arriviamo ai primi del ‘900, Secolo in cui le lotte politiche e le conquiste sociali fatte in Occidente dai ceti meno abbienti, hanno permesso una redistribuzione della disponibilità del cibo. Il fenomeno è restato dapprima limitato a questa area geografica del Mondo e successivamente, grazie alla nascita delle Grandi Repubbliche Popolari come la Cina, si è esteso gradatamente a tutto l’Oriente; con l’avvento della Globalizzazione contemporanea, si assiste alla sua diffusione in molti Paesi, seppure con caratteristiche locali.
Questo benessere economico allargato, che dal Dopoguerra ha decretato la fine della scarsità alimentare, ha trasformato il ruolo del cibo, che oggi non è più una necessità da soddisfare per sopravvivere, ma uno strumento, un oggetto da utilizzare per conoscersi, comunicare e vivere meglio: si è quindi assistito ad una svolta culturale epocale, che lo ha trasformato in oggetto cult, che oltre a soddisfare un bisogno primario, soddisfa senso estetico, curiosità e creatività.
Oggi quel ceto culturalmente e socialmente più alto, oltre ad avere una maggiore disponibilità economica, è più attento agli acquisti e più consapevole nelle scelte alimentari, inoltre è responsabile del recupero di tradizioni culinarie antiche: un tempo i contadini mangiavano pasta e fagioli, polenta, pasta con le acciughe e la mollica come sostentamento di base, ottenuto dai prodotti del territorio, e li consideravano un modo per sopravvivere; oggi sono i ceti medi a mangiare gli stessi cibi perché “fa figo” e mostrare la loro evoluzione culturale. Così si fanno decine di chilometri per andare in quel ristorante che cucina le orecchiette con le cime di rapa o i tortelli con la zucca, e gli Chef stellati che popolano i Media, ricordano per notorietà, i gladiatori dell’antica Roma.
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