LO SPECCHIO
Alejandra era morta appena dopo il parto.
Una complicanza sopraggiunta.
Il coma e poi il tentativo inutile di una chirurgia estrema.
Aurora, appena nata, nello stesso momento in cui Alejandra moriva, aprì gli occhi in piena notte ed incominciò a piangere.
Sembrava che nei suoi singhiozzi ci fosse un grido di dolore.
Non c’era nessuna luce bianca, nessun calore che riscaldava, nessuna figura ultraterrena dove era arrivata.
Solo un grande, immenso specchio, dove Alejandra vedeva quello che aveva fatto durante la vita.
E questo specchio era nero, funereo, pieno di fuliggine.
Solo i lati estremi apparivano quasi bianchi e si accendevano di colori, raramente.
Scorrevano tutte le immagini di un’esistenza, fatta di inganni, tradimenti, furti, bugie e dolorose meschinità nei confronti di chi le aveva voluto bene.
Non riusciva a muoversi da questa posizione, c’era solo questo specchio nero, lugubre.
Niente altro, nessun altro segnale.
A un certo punto questa inesistenza, questa mancanza di respiro, questo peso, si spostò, di poco, ma si spostò.
Sentì come una presenza forte, opprimente, maligna, simile allo specchio che la circondava.
Una voce, sì, una voce.
Era sicura, aveva sentito delle parole.
Potenti come la presenza.
“Hai letto che le colpe dei padri ricadranno sui figli? Questa è la legge.
E tu che sei stata madre quattro volte, per quattro generazioni farai pagare ai tuoi figli le tue scelleratezze, che hai trasmesso loro attraverso il cordone ombelicale”.
In quel momento Alejandra sentì uno squarcio dentro di sé, capì che le sue azioni non finivano con la vita terrena.
Ma questo non era giusto, non apparteneva a un Dio Misericordioso, a un Dio che è Amore.
La voce, leggendo i pensieri di Alejandra, disse:
“Si, non appartiene a Dio, appartiene a me. Il momento del perdono è finito. Questa è la giustizia”
In quel esatto istante una forza la incominciò a trascinarla velocemente, ma sempre circondata ed imprigionata dallo specchio.
Ma più si spostava, più intuiva e vedeva che dietro quei lati estremi dello specchio, scorreva una luce, dei colori, un’armonia, un calore.
Ed ancora galassie di un’estrema bellezza, stelle mozzafiato, lampi di arcobaleno con colori mai visti.
Tutto quello che si era perso, tutto quello che aveva intuito e percepito durante la vita, a cui solo poche volte si era avvicinata.
Il vento che la trascinava cessò di colpo.
Si fermò.
Rimase immobile, lei, lo specchio e ciò che era stata.
Ma contemporaneamente vedeva ciò che facevano i suoi figli, nel funereo specchio.
Ingannavano, rubavano, mentivano, ma anche spacciavano, ricattavano.
Questa visione era come un macigno ogni volta più pesante, ogni volta più grande.
Lo specchio nero nell’anima, il macigno sul cuore.
E lei sentiva, adesso, il vero dolore di una madre.
Di una madre che assiste imponente alle brutalità dei suoi figli e che sa cosa li attende.
Senza possibilità di dire, di gridare alle sue creature “No, basta”.
Alejandra scoppiò a piangere. Continuò a piangere.
Il tempo trascorse e lei piangeva.
Il tempo continuò e lei piangeva.
Il tempo si allontanò e lei piangeva.
Il tempo diventò tempo e lei piangeva.
Le lacrime si mischiavano alla polvere dello specchio.
Le sue lacrime, fatte di acqua, incominciavano a diluire il nero, a pulire, si mischiava il bianco delle sue lacrime con il buio che la circondava.
Come quando pulisci un panno sporco, molto sporco, con l’acqua ed incominci ad intravedere ombre di bianco.
Si, il bianco di quella luce lontana, che si stava avvicinando, di cui sentiva già il calore e che la stava attorniando ed abbracciando.