IL GRANDE CORSO (non è Napoleone)
A calcio (giocato) sono sempre stato una schiappa.
Ma se una magia mi avesse regalato il giusto talento, avrei voluto essere come Mario Corso.
Con quel fisico un po’ così, quell’espressione un po’ così (a Paolo Conte sicuramente piaceva) a volte sembrava capitato in campo per caso.
Correva poco (famoso il soprannome con cui lo appellava Gianni Brera : ”Participio passato del verbo correre”), a volte si estraniava dal gioco della squadra, si riposava in campo seguendo però il filo dell’azione (l’ho visto fare solo da Mike D’Antoni al top della carriera), ma al momento necessario illuminava la scena con uno dei suo passaggi millimetrici ed imprevedibili o diventava lo spauracchio dei portieri con le sue terribili “foglie morte”: una traiettoria che faceva spiovere improvvisamente il pallone facendogli acquistare velocità.
Mario Corso sapeva essere l’uomo giusto al momento giusto, come hanno scritto sulla “Gazzetta” intendeva il calcio non come fatica, ma come arte, come qualità e non quantità.
Se Hal Ashby avesse voluto ambientare “Oltre il giardino” nel mondo del calcio, lo avrebbe scelto senz’altro.