Penne all’adunata
L’iconografia è rispettata: larghe camicie a quadri dai colori improbabili, un po’ campagnole e un po’ western; stretti cappelli felpati e pennuti, né verdi né grigi; canti montanari struggenti e inaspettatamente ben intonati; filastrocche che sanno di guerre d’altri tempi, fatte di moschetti e di marce, di trincee e di gavette; rime semplici che raccontano amori ingenui e genuini; fisarmoniche, trombe ed altri fiati che si uniscono in bande improvvisate per il tempo di un paio di melodie, poi si sciolgono e si ricompongono in altre formazioni; idem per improvvisare i cori, una specie di jam session paesana continua; poi vino, tanto vino, di tutti i tipi, con il contorno di amaro e grappa a volontà. Soprattutto e sopra tutto tanta, tanta allegria.
Signori, sono arrivati gli alpini! 
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Tanti, tantissimi: si dice centomila, duecentomila…cinquecentomila; ma cosa importa il numero, è l’impressione che conta, ed è quella di una invasione, però bonaria, oltre che ovviamente pacifica.
Giù dai monti sono arrivati in città, per l’Adunata del Centenario a Milano; città naturalmente deputata ad accoglierli, circondata dalle Alpi come si trova. È da sempre amore e dileggio reciproco (e sottesa invidia) fra i milanesi, quelli veri, e i loro montanari: i primi pronti a sorridere dei modi ruvidi ed essenziali dei secondi, dei quali però sempre lodano l’onestà e la spontaneità; i secondi pronti a beffarsi dell’eleganza e dei formalismi dei primi, dei quali però vorrebbero avere l’efficienza e la competenza. E via di luoghi comuni fatti di panorami mozzafiato e salubrità contro fitti nebbioni e smog, di panini al salame contro piatti gourmet, di prodotti genuini contro vetrine luccicanti…
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Chissà se poi questi che si vedono aggirarsi lento pede beati per la città camminano veramente con agilità su e giù per i monti. I corpi adiposi e le gote rosse di molti di loro fanno sorgere qualche dubbio e sembrano più frutto del buon mangiare e del buon bere che di impervie scalate; chissà, forse la pratica è stata abbandonata da qualche anno, ma cosa importa…si è alpini per sempre. In fondo per essere amici della montagna non è così necessario andarci e fino in cima, basta amarla; e rispettarla. Poi gli accenti: valligiani, sabaudi, insubri, orobici, triveneti..certo, tanti; qualcuno però è più ‘appenninico’,ma cosa importa, si può essere alpini (come milanesi, del resto) anche adottivi.
Gli alpini non sono solo folklore.
Hanno invece ancora e nuovamente molto da insegnare, non solo in termini di valori alti e nobili, detti e ridetti (a rischio di retorica dei buoni sentimenti): amicizia, fedeltà, dedizione, patriottismo e così via, ma anche per cose semplici e comuni ormai dimenticate. Una per tutte, pure gradevole: il divertimento. I visi giocondi, i passi ondivaghi, le voci grosse, gli abbracci amicali, i toni goliardici trasudano la gioia di far festa. Nessun moralismo: l’ebbrezza è nell’aria, anzi, è di casa: non v’è alpino vero che goda di un analcolico. Ma non v’è neppure l’ombra di un litigio, di una rissa, di uno schiamazzo molesto o peggio. Insomma, uno ‘sballo bello’, un’ebbrezza che porta a ridere e a cantare. Nessuna scena pietosa da pre coma etilico, da esaltazione stupefacente, da sguardi truci, da violenza latente o palese, da ‘vomito libero’ o da vandalismi vari cui siamo abituati nelle notti e nelle zone di movida urbana con giovani e non che dicono di essere fuori a ‘divertirsi’, evidentemente non ne sono capaci, o sono fuori e basta.
Decine e decine di migliaia di persone semplici lasciano più pulito di quanto non facciano cento ragazzotti nel giorno di laurea delle università prestigiose; si respira cortesia, data e-quindi-ricevuta; si percepisce tranquillità e sicurezza.
Si sarebbe potuto dire lo stesso di un pari assembramento di tifosi di calcio e dei loro cori, di assuefatti di rap e delle loro sincopi o di alienati di rave e dei loro trip?