La Fisica di Interstellar
È riuscito. Il pupo è riuscito, e anche bene. 196 minuti a mozzafiato, anche se gli argomenti sono tosti e difficili da assimilare.
Certo è comunque un film e certe cose sono passate, ma non nell’ambito della Fisica. La Fisica è stata rispettata, eccome.
Del resto come scientific consultant ed executive producer c’era Kip Thorne. È il fisico terzo coautore di un mattone come “Gravitation” il meglio sulla Relatività Generale di Einstein nei tempi moderni, di Wheeler, Misner e appunto Thorne. Certo abituati come siamo alla fantascienza di Hollywood potremmo trovarci disorientati rispetto agli scenari che ci troviamo davanti.
Eppure quegli scenari sono pilotati tutti dalle equazioni della Fisica che Thorne ha “tradotto” per tutta l’equipe interessata alla produzione.
Nella prima parte, l’inizio di qualcosa simile a un poltergeist mi ha fatto storcere il naso “uhm, comincia il filone irrazionale hollywooddiano”, poi la felice intuizione, tutta di Thorne, che risolve l’arcano mi ha risollevato: ecco uno dei misteri che attraversa da secoli il pensiero umano, il tempo e la sua natura, esposto con semplicità allo sguardo di tutti.
Infatti è proprio così, se si potesse riattraversare un wormhole constateremmo che il tempo nostro e il tempo dei nostri cari sulla Terra hanno avuto durate diverse e chi ha viaggiato si è mantenuto più giovane di chi è rimasto, proprio come Cooper con sua figlia Murphy.
Questa è una scoperta di Einstein, sperimentalmente accertata quotidianamente negli acceleratori di particelle come quello del CERN. Ma l’intuizione felice di Thorne è stata quella di rappresentare il punto di incontro, attualmente non ancora trovato, tra la Relatività e la Quantistica.
Per questo ha costruito, in realtà virtuale con l’aiuto di Mathematica, un software, la visualizzazione delle equazioni di campo di Einstein e la visualizzazione dell’interno di un buco nero in cui ha collocato quella strana struttura in cui Cooper si trova fuori dalle nostre quattro dimensioni, il tempo e lo spazio, proprio dentro l’intercapedine della struttura materiale della realtà. In questa intercapedine ha rappresentato il tesseratto, quei fili di luce che come fili di un telaio o meglio come corde vibranti di un’arpa o di un pianoforte poteva “pizzicare” per fare in modo che le vibrazioni prodotte, che erano vibrazioni dello spaziotempo, quindi, altra scoperta di Einstein, deformazioni ondulatorie che noi umani sperimentiamo come gravità, dette onde gravitazionali, sperimentalmente ancora non ben individuate e misurate, pur se teoricamente predette da Einstein. Queste onde gravitazionali possono attraversare la struttura dello spaziotempo ed essere quindi indipendenti dalle quattro dimensioni in cui viviamo strutturalmente, pur se la nostra esperienza diretta si basa solo sulle tre dimensioni spaziali. Queste onde di gravitazione permettono la trasmissione di informazione attraverso tutte le dimensioni, senza viaggiare dentro le dimensioni.
E allora il Cooper dentro il buco nero toccando il tesseratto fa organizzare la polvere nella stanza di Murphy in modo tale da significare un messaggio che la giovane intuisce anche se non riesce a spiegare al padre che sta nel suo spaziotempo. Il poltergeist, il fantasma è in fin dei conti sempre il padre che dal futuro comunica con lei. Poi Thorne fa anche una variazione sul tema, per dimostrare che per la Relatività il tempo ha la stessa natura dello spazio, e comunica con la figlia, ormai adulta e una scienziata, i dati quantistici registrati dal monolite robot all’interno del buco nero, manipolando il tempo, ovvero facendo saltellare secondo il codice Morse la lancetta dei secondi dell’orologio regalato a Murphy.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma mi fermo, restando eventualmente in attesa di domande che un film come “Interstellar” non può non suscitare.
Orleo Marinaro, novembre 2014 – Mozzafiato Copyright
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